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Platone - Parmenide

«Alle altre cose diverse dall'uno avviene che, per la comune partecipazione dell'uno e di se stesse, a quanto pare, si generi qualcosa di diverso in loro stesse che procura un limite fra loro: la loro natura, invece, procura a ciascuna, presa di per sé, infinitezza».

«Così risulta».

«Così le altre cose diverse dall'uno, sia come tutto sia come parti, sono infinite e partecipano pure del finito».

«Certo».

«Dunque sono anche simili e dissimili fra loro e a se stesse queste cose?» «Come?» «Per il fatto che sono tutte infinite secondo la loro natura, proverebbero, per questa ragione, le medesime condizioni».

«Certo».

«E poiché tutte partecipano del finito, anche per questa ragione tutte proverebbero la medesima condizione». «Come no?» «In quanto provano la condizione dell'essere finiti e infiniti, essi provano tali condizioni che sono fra loro opposte».

«Sì ».

«Ciò che è opposto è dissimile al massimo grado».

«E allora?» «Secondo l'una e l'altra condizione, esse saranno simili a se stesse e fra loro: ma, se si prendono ambedue insieme, nell'uno e nell'altro modo, sono opposte e dissimili al massimo grado».

«Può darsi».

«Così le altre cose, prese in se stesse, saranno simili e dissimili a se stesse e fra loro».

«Sono così ».

«E tali cose saranno identiche e diverse le une dalle altre, e in moto e in quiete, e non sarà difficile trovare che le altre cose diverse dall'uno provano tutte le opposte condizioni, se è vero che esse sembrarono provare queste condizioni».

«Quello che dici è giusto».

«Dunque, se lasciassimo ormai queste cose, come chiare, potremmo considerare di nuovo se l'uno è: e allora le altre cose diverse dall'uno non si pongono in questi termini, oppure possono stare soltanto in questi termini?» «Certo».

«Ripetiamo da capo: se l'uno è, di quali condizioni devono essere oggetto le altre cose diverse dall'uno?»

«Diciamolo».

«Dunque l'uno non è separato dalle altre cose, e le altre cose non sono separate dall'uno?» «E perché?» «Perché oltre a questi non vi è altro che sia altro dall'uno e altro dalle altre cose: è stato detto tutto quando si è detto "l'uno" e le "altre cose"».

«Sì , tutto».

«Non vi è più nulla di diverso da questi, in cui l'uno e le altre cose siano come in qualcosa di identico».

«No».

«Non sono mai nell'identico l'uno e le altre cose».

«Non pare».

«Sono separati?» «Sì ».

«Diciamo che non ha parti ciò che è veramente uno».

«E come potrebbe?» «L'uno non sarà nelle altre cose né come tutto, né come parti di esso, se è separato dalle altre cose e non ha parti».

«E come potrebbe?» «In nessun modo le altre cose parteciperanno dell'uno, né partecipando delle sue parti, né del tutto».

«Pare di no».

«In alcun modo le altre cose sono uno, né contengono in sé alcun uno».

«No, certo».

«E le altre cose non corrispondono neppure ai molti: ciascuna di esse sarebbe una parte del tutto, se fossero molti.

Ma né uno, né molti, né tutto, né parti sono le cose diverse dall'uno, dato che in alcun modo partecipano dell'uno».

«Giusto».

«Né due, né tre sono le altre cose diverse dall'uno, e neppure il due e il tre sono in esse, se è vero che comunque esse sono private dell'uno».

«è così ».

«E non sono simili né dissimili rispetto all'uno le altre cose, e in esse non vi è somiglianza e dissomiglianza: se fossero simili e dissimili, o avessero in sé somiglianza e dissomiglianza, le altre cose diverse dall'uno avrebbero due specie opposte fra loro in se stesse».

«Così risulta».

«è impossibile che partecipi di due cose ciò che non partecipa neppure dell'uno».

«Impossibile».

«Le altre cose non sono né simili, né dissimili, né tutte e due le cose insieme. Essendo simili o dissimili prenderebbero parte di una delle due specie, essendo tutte e due le cose insieme, prenderebbero parte delle due specie opposte: e ciò risultò impossibile».

«Vero».

«Esse non sono identiche né diverse, né in moto né in quiete, né in divenire né soggette a perire, né maggiori né minori, e neppure uguali: e non provano nessun'altra condizione di questo genere.

Se infatti le altre cose ammettessero di provare un qualcosa di questo genere, parteciperebbero dell'uno, del due, del tre, del pari e del dispari, dei quali risultò impossibile che prendessero parte, in quanto completamente privi dell'uno».

«Verissimo».

«Così , se l'uno è, l'uno è tutto, e non è uno, sia in relazione a sé, sia allo stesso modo in relazione alle altre cose».

«Senza dubbio».

«Bene. Non dobbiamo considerare, dopo ciò, qual è la necessaria conseguenza che deriva, se l'uno non è?» «Si, dobbiamo».

«Cosa significa questa ipotesi: "se l'uno non è"? Differisce in qualcosa da questa: "se il non uno non è"?» «Vi è differenza, senza dubbio».

«Vi è solo differenza, o addirittura dire "se il non uno non è" è tutto il contrario dell'affermazione "se l'uno non è"?»

«Tutto il contrario».

«Se qualcuno dicesse "se la grandezza non è" o "se la piccolezza non è" o qualcos'altro del genere, non sara chiaro che per ciascuna di queste affermazioni dirà qualcosa di diverso dicendo ciò che non è?» «Certo».

«Dunque anche adesso sarà chiaro che ciò che non è si dice di qualcosa di diverso dalle altre cose, quando si afferma "se l'uno non è": e sappiamo a cosa si allude?» «Lo sappiamo».

«Prima di tutto si allude a qualcosa di conoscibile, in secondo luogo a qualcosa di diverso dalle altre cose, nel caso in cui si dica "uno" e gli si aggiunga vuoi l'essere, vuoi il non essere: non si conosce di meno che cosa si intende quando si parla di non essere, e perché è differente dalle altre cose. O no?» «Di necessità».

«Dunque occorre parlare da capo, e vedere qual è la necessaria conseguenza che deriva, se l'uno non è. Innanzitutto bisogna concedergli, a quanto pare, che vi sia scienza di esso, o non si avrà neppure conoscenza di quello che si afferma, quando si dice "se l'uno non è"».

«Vero».

«Dunque non si deve dire che anche le altre cose sono diverse dall'uno, oppure non si può nemmeno affermare che quello è diverso dalle altre cose?» «Certo».

«E deve avere la diversità, oltre la scienza. Non si allude alla diversità delle altre cose, quando si afferma che l'uno è diverso dalle altre cose, ma alla diversità dell'uno».

«Così risulta».

«E ciò che non è uno partecipa di queste proprietà: "di quello", "di qualcosa", "di questo", "a questo", "di queste cose" e di tutte le altre simili: non si potrebbe parlare dell'uno e neppure di ciò che è diverso dall'uno, né a quello o di quello sarebbe qualcosa, né qualcosa si potrebbe dire, se esso non prendesse parte del "di qualche cosa" né di queste altre proprietà».

«Giusto».

«Se è vero che non è, l'uno non può essere, ma nulla impedisce che partecipi di molte cose, anzi è necessario, se è vero che l'uno, proprio quello e non un altro, non è. Se non è l'uno, se non è quello, ma ci si riferisce a un'altra cosa, allora non si può proferire parola: ma se si sceglie come presupposto che l'uno, proprio quello e non altro, non è, è necessario che quello prenda parte sia del "di quello", sia di molte altre proprietà».

«Assolutamente».

«Esso ha dissomiglianza in relazione alle altre cose: infatti queste, essendo diverse dall'uno, saranno anche di specie differente».

«Sì ».

«Le cose di specie differente non sono di altra specie?» «Come no?» «Le cose di altra specie non sono dissimili?»

«Sì , lo sono».

«Se dunque sono dissimili in relazione all'uno, è chiaro che le cose dissimili saranno dissimili in relazione al dissimile».

«è chiaro».

«Anche l'uno avrà la dissomiglianza, rispetto alla quale le altre cose sono dissimili da esso».

«Così pare».

«E se ha dissomiglianza rispetto alle altre cose, non è necessario che abbia somiglianza rispetto a sé?» «Come?» «Se l'uno avesse dissomiglianza dall'uno, il discorso non verterebbe intorno all'uno, né vi sarebbe un'ipotesi intorno all'uno, ma intorno ad altra cosa diversa dall'uno».

«Certo».

«Però non deve avvenire così ».

«No, certo».

«Pertanto l'uno deve avere somiglianza con se stesso».

«Sì ».

«E non è neppure uguale alle altre cose: se infatti fosse uguale, l'uno già sarebbe, e sarebbe simile ad esse secondo il principio dell'uguaglianza. Ma entrambi questi casi non si possono verificare, se è vero che l'uno non è».

«Impossibile che si verifichino».

«Poiché non è uguale alle altre cose, non è necessario che anche le altre cose non siano uguali a quello?» «Per forza».

«Ciò che non è uguale non è vero che è disuguale?» «Sì ».

«Ciò che è disuguale non è disuguale rispetto al disuguale?» «Come no?» «E l'uno non partecipa forse della disuguaglianza, rispetto alla quale le altre cose sono da esso disuguali?» «Vi partecipa».

«Ma grandezza e piccolezza fanno parte della disuguaglianza».

«Sì ».

«Forse grandezza e anche piccolezza si trovano in tale uno?» «Può darsi».

«Grandezza e piccolezza sono sempre separate l'una dall'altra».

«Certo».

«In mezzo a esse c'è sempre qualcosa».

«Sì ».

«Puoi dire che in mezzo a esse vi sia qualcos'altro se non l'uguaglianza?» «No, è questa».

«Se in qualcosa vi è grandezza e piccolezza, vi sarà anche l'uguaglianza che sta in mezzo a queste due».

«Così risulta».

«L'uno che non è, a quanto pare, partecipa del l'uguaglianza, della grandezza, e della piccolezza».

«Pare che sia così ».

«E deve partecipare anche dell'essere».

«Come?» «Deve essere così come diciamo: se non fosse così , non diremmo la verità affermando che l'uno non è; ma se diciamo cose vere, è chiaro che parliamo di cose che sono. O non è così ?» «è così ».

«Dato che affermiamo di dire cose vere, dobbiamo anche affermare che diciamo cose che sono».

«Per forza».

«Dunque è, pare, l'uno che non è: se infatti non sarà uno che non è, ma dall'essere si scioglierà verso il non essere, sarà direttamente ciò che è».

«Certo».

«E deve avere, come legame che lo lega al non essere, l'essere che non è, se vuole non essere, come ciò che è avrà, per essere in modo compiuto, il non essere che non è. Così ciò che è, nel modo più assoluto sarà, e ciò che non è non sarà; partecipando, ciò che è, dell'essere peculiare dell'essere ciò che è, e non dell'essere peculiare di ciò che non è, se vuole essere in modo compiuto; mentre, partecipando, ciò che non è, non dell'essere peculiare del non essere ciò che non è, ma dell'essere peculiare dell'essere ciò che non è, se anche ciò che non è vuole a sua volta non essere in modo compiuto».

«Verissimo».

«Dato che ciò che è partecipa del non essere, e ciò che non è dell'essere, anche l'uno, dato che non è, è necessario partecipi dell'essere in relazione al non essere».

«Per forza».

«E l'uno risulta dotato di essere, se non è».

«Risulta così ».

«E anche del non essere, se è vero che non è».

«Come no?» «Ciò che si trova in un determinato modo può non essere più così , senza però mutare da questa condizione?» «Non può».

«Tutto ciò che sia in un determinato modo e non sia più in quel determinato modo indica mutamento».

«Come no?» «Mutamento è movimento: o come diremo?» «Movimento».

«E l'uno non risultò forse dotato di essere e di non essere?» «Sì ».

«Dunque risulta essere in un determinato modo e non più in quel determinato modo».

«Pare così ».

«E ciò che non è uno risulta essere in movimento, se è vero che si muta dall'essere al non essere».

«Può darsi».

«Ma se non è in nessuna parte dell'essere, come in effetti non è, se appunto non è, non potrà passare da un luogo ad un al tro».

«Come potrebbe infatti?» «Non potrà muoversi mediante trasferimenti».

«No, infatti».

«Non potrà neppure volgersi nello stesso luogo: in nessun luogo, infatti, ha contatti con l'identico. Ciò che è identico è, mentre è impossibile che ciò che non è si venga a trovare in qualcosa fra le cose che sono».

«Impossibile».

«L'uno che non è non potrebbe volgersi in ciò in cui non è».

«No, certo».

«E l'uno non può diventare altro rispetto a se stesso, né l'uno che è, né l'uno che non è: il discorso non verterebbe più sull'uno, se esso diventasse altro rispetto a se stesso, ma verterebbe su qualcos'altro».

«Giusto».

«Se non diventa altro, né si volge nello stesso luogo, e neppure si muta, forse potrebbe muoversi ancora in qualche modo?» «Come?» «Ciò che è immobile è inevitabile sia in quiete, e ciò che è in quiete inevitabilmente starà fermo».

«Di necessità».

«L'uno che non è, pare, sta fermo e anche si muove».

«Pare così ».

«E se si muove, è assolutamente necessario che diventi altro rispetto a sé: quanto più una cosa si muove, tanto più non si trova più nella condizione in cui era, ma in una condizione diversa».

«è così ».

«L'uno, muovendosi, diviene anche altro rispetto a sé».

«Sì ».

«E se in nessun modo si muove, in nessun modo diventerà altro rispetto a sé».

«No».

«Nella misura in cui ciò che non è uno si muove, diviene altro rispetto a sé: se invece non si muove, non diviene altro».

«No».

«L'uno che non è diviene altro rispetto a sé e non lo diviene».

«Così risulta».

«Ciò che diviene altro rispetto a sé non è necessario che divenga diverso da prima, che perisca rispetto alla precedente condizione: e ciò che non diviene altro, non è necessario che né diventi, né perisca?» «Per forza».

«E l'uno che non è, divenendo altro da sé, diviene e anche perisce, mentre, non divenendo altro da sé, non diviene, né perisce e così l'uno che non è diviene e anche perisce, e non diviene e non perisce».

«No, certo».

«Torniamo da capo per vedere se tali questioni ci risultano come adesso, o in modo diverso».

«Sì , bisogna farlo».

«Dunque, se l'uno non è, diciamo, quali sono le necessarie conseguenze per esso?» «Sì ».

«Quando di una cosa diciamo che "non è", non si vuole indicare nient'altro se non l'assenza di essere da parte di questa cosa di cui diciamo "non è"?» «Nient'altro».

«Forse, quando diciamo che qualcosa non è, diciamo che sotto un certo aspetto non è, e sotto un altro aspetto è? Oppure questo "non è" appena detto indica semplicemente che in nessun modo e per nessuna ragione al mondo ciò che non è può essere, e neppure partecipa dell'essere?» «Semplicissimo: è così ».

«Ciò che non è, dunque, non potrà essere, né in modo diverso potrà affatto prendere parte dell'essere».

«No».

«Il divenire e il perire saranno forse altro se non il partecipare dell'essere, da una parte, e il perderlo, dall'altra?»

«Nient'altro».

«In quanto qualcosa non partecipa affatto dell'essere, non potrebbe riceverlo, né perderlo».

«E come potrebbe?» «All'uno, dato che in nessun modo è, non è possibile possedere l'essere, né lasciarlo, né in alcun modo prendervi parte».

«è verosimile».

«E ciò che non è uno non perisce né diviene, se appunto non partecipa in nessun modo dell'essere».

«Pare di no».

«E non diviene altro da sé in alcun modo: dovrebbe infatti divenire e perire ormai, se provasse questa condizione».

«Vero».

«Se non diventa altro da sé, non è necessario che neppure si muova?» «è necessario».

«E non diremo che sta fermo ciò che non è in nessun luogo: ciò che sta fermo deve necessariamente essere sempre in uno stesso luogo».

«Nello stesso luogo: e come no?» «Così dobbiamo dire che ciò che non è non sta mai fermo, né in moto».

«Infatti».

«Ma esso non possiede neppure qualcuna delle cose che sono: se partecipasse di questa cosa, prenderebbe già parte dell'essere».

«Chiaro».

«E non possiede grandezza, né piccolezza, né uguaglianza».

«No».

«E non avrà somiglianza né diversità, né rispetto a sé, né rispetto alle altre cose».

«Non risulta».

«E allora? Vi è un modo per cui le altre cose possano appartenere ad esso, se nulla può appartenergli?» «No».

«Né simili, né dissimili rispetto ad esso, né identiche, né diverse sono le altre cose».

«No».

«E allora? Il "di quello", o l'"a quello", il "qualcosa", il "questo", il "di questo", il "di un altro", l'"ad un altro", l'"allora", il "poi", l'"ora", o la scienza, l'opinione, la sensazione, il discorso, il nome, o qualcos'altro fra le cose che sono, potranno riguardare ciò che non è?» «No».

«E così l'uno, non essendo, non ha alcun modo di essere».

«Mi pare non abbia alcun modo».

«Diciamo ancora quali sono le condizioni di cui sono inevitabilmente oggetto le altre cose, se l'uno non è».

«Diciamolo».

«Innanzitutto devono essere altre: se infatti non fossero altre, non si potrebbe parlare delle altre cose».

«è così ».

«Se esiste un discorso intorno alle altre cose, le altre cose sono diverse. Oppure quando usi le definizioni di "altro" e "diverso" non ti riferisci alla stessa cosa?» «Proprio così ».

«Diciamo che il diverso è diverso dal diverso, e l'altro è altro dall'altro?» «Sì ».

«E riguardo alle altre cose, se vogliono essere altre cose, vi è un qualcosa di cui saranno altre».

«Di necessità».

«Cosa potrà essere? Le altre cose non saranno altre dall'uno, poiché esso non è».

«No, infatti».

«Dunque le altre cose sono altre l'una rispetto all'altra. è la possibilità che rimane ancora loro, oppure non sono altre rispetto a nessuna cosa».

«Giusto».

«In base a singoli gruppi sono altre l'una rispetto all'altra: non potrebbero esserlo invece in base all'uno, non essendoci uno.

Ciascun gruppo di esse, a quanto pare, è infinito e molteplice, anche se si volesse prendere quello che sembra il più piccolo: così come in sogno, dormendo, qualcosa, invece di uno, come era apparso, all'improvviso appare molti, e invece di piccolissimo appare di proporzioni enormi, nel suo frazionarsi in piccole parti».

«Giustissimo».

«In base a tali gruppi, le altre cose saranno altre fra loro, se sono altre anche se non vi è l'uno».

«Senza dubbio».

«Dunque vi saranno molti gruppi, e ciascuno apparirà come uno, pur non essendo uno, se appunto l'uno non sarà?»

«è così ».

«E sembrerà che siano numerabili, se ciascuno sembra essere uno, essendo in realtà molti».

«Certo».

«In essi appaiono numeri pari e numeri dispari, ma non lo sono veramente, se appunto l'uno non ci sarà».

«No, certo».

«E anche uno piccolissimo, diciamo, sembrerà essere in essi: e questo apparirà come molti e come grandi rispetto a ciascuno dei molti come se fossero piccoli».

«Come no?» «E ciascun gruppo sarà ritenuto uguale ai molti e piccoli: non potrebbe passare, in apparenza, dal maggiore al minore, prima di sembrare giungere in ciò che è nel mezzo, e ciò sarebbe parvenza di uguaglianza».

«è verosimile».

«E non sembrerà che un gruppo sia fornito di limite verso un altro gruppo, pur non avendo esso stesso, rispetto a sé, principio, né limite, né mezzo?» «In che modo?» «Perché sempre, quando si colga con il pensiero qualcuno di essi, come qualcuno di essi dotato di essere, prima del principio appare sempre un altro principio, e dopo la fine rimane sempre un'altra fine, e in mezzo altre cose più a metà del mezzo, e più piccole, e ciò avviene per il fatto di non poter cogliere ciascun uno di essi, dato che l'uno non è».

«Verissimo».

«Si sminuzza necessariamente in frazioni di parti sempre più piccole, credo, ciò che uno intenda cogliere con il pensiero: infatti si coglierebbe sempre la massa senza l'uno».

«Certo».

«A chi osserva tale oggetto da lontano e con la vista offuscata, non è forse necessario che esso appaia come un uno, ma a chi osserva da vicino e presta un'acuta attenzione, ciascun gruppo appare come molteplice e infinito, se appunto manca dell'uno che non è?» «è più che necessario».

«Così infinite e finite, e uno e molti, devono apparire le altre cose, prese singolarmente, se l'uno non è, ma le altre cose diverse dall'uno sono».

«Devono».

«E non sembreranno simili e dissimili?» «Come?» «Come le raffigurazioni prospettiche: a chi è lontano appaiono come tutt'uno e sembrano oggetto di un'identica proprietà, e simili».

«Certo».

«Ma a chi si avvicina sembrano molte e diverse, e per questa parvenza di diversità, appaiono di diversa natura e dissimili rispetto a sé».

«E così ».

«Ed è necessario che gli stessi gruppi appaiano simili e dissimili, rispetto a sé e fra loro».

«Certo».

«E dunque anche identici e diversi fra loro, e a contatto e separati rispetto a sé, e mossi secondo ogni tipo di movimento e fermi in ogni modo, e in divenire e nell'atto di perire, e nessuno dei due casi, e ogni altra cosa di questo genere che ormai possiamo agevolmente passare in rassegna se vi sono i molti senza che vi sia l'uno».

«Verissimo».

«Torniamo ancora una volta da capo e diciamo che cosa necessariamente saranno le altre cose diverse dall'uno se l'uno non è».

«Diciamolo».

«Le altre cose non saranno uno».

«Già, come potrebbero?» «E neppure molti: se fossero molti, in essi vi sarebbe anche l'uno. Se nessuno di essi è uno, tutti sono nulla, sicché non saranno neppure molti».

«Vero».

«Poiché l'uno non è nelle altre cose, le altre cose non sono né molti, né uno».

«No, infatti».

«E non appaiono né uno, né molti».

«E perché?» «Perché le altre cose non hanno alcuna partecipazione con nessuna delle cose che non sono, in alcun modo, né alcuna delle cose che non sono si trova presso alcuna delle altre cose. Ciò che non è non ha parte alcuna».

«Vero».

«E non vi è opinione di ciò che non è, presso le altre cose, né parvenza, e ciò che non è non potrà affatto diventare oggetto di opinione, in nessun modo, in relazione alle altre cose».

«No, certo».

«Se l'uno non è, neppure qualcuna delle altre cose viene pensata come uno e molti: senza l'uno è impossibile pensare ai molti».

«Impossibile».

«Se l'uno non è, le altre cose non sono, né si possono pensare come uno e molti».

«Pare di no».

«Né simili, né dissimili».

«No».

«Né identiche, né diverse, né in contatto, né separate, né tutto quanto prima si è passato in rassegna come apparenza, nessuna di queste cose sono né appaiono le altre cose, se l'uno non è».

«Vero».

«Se dunque in sintesi dicessimo che se l'uno non è, nulla è, diremmo in modo giusto?» «Certo». «Si dica dunque questo, e si dica anche che, a quanto pare, che l'uno sia, o che non sia, esso stesso e le altre cose, rispetto a sé e fra di loro, sono tutto, in relazione ad ogni aspetto dell'essere, e non sono, e appaiono e non appaiono».

«Verissimo».

NOTE:

1) Città sulle coste dell'Asia Minore.

2) Nulla sappiamo di questo Cefalo che con il suo racconto dà l'avvio al dialogo: non va confuso con il padre dell'oratore Lisia, in casa del quale si svolge la Repubblica. Adimanto e Glaucone sono fratelli di Platone.

3) Secondo marito di Perictione, madre di Platone, da cui nacque l'Antifonte di cui Cefalo chiede notizie.

4) Figlio di Isoloco e discepolo di Zenone.

5) Zenone (490-445 a.C.) fu uno dei massimi esponenti della scuola eleatica fondata da Parmenide (515-450 a.C.). Parmenide, che guiderà la discussione nella seconda parte del dialogo, sosteneva che l'essere fosse unico, indivisibile e immutabile.

6) Antifonte, padre di Pirilampe.

7) Villaggio dell'Attica

8) Solenni celebrazioni quinquennaliin onore di Atena.

9) Quartiere di Atene, diviso in due dalle mura fatte costruire da Temistocle.

10) Si allude al grande filosofo Aristotele (384-322 a.C.), assai giovane nel periodo in cui si svolge il dialogo. Come ricorda Platone, egli fece parte dei governo dei trenta tiranni, personaggi politici di tendenze oligarchiche che nel 404 si erano impadroniti del potere ad Atene, rovesciando la democrazia.

11) Queste argomentazioni sono strettamente connesse con il cosiddetto argomento del terzo uomo formulato probabiimente per la prima volta dal filosofo megarico Polisseno e ripreso in seguito da Aristotele (Metaphysica): al di là dell'uomo particolare (l'uomo singolo come Socrate o Platone) e di quello ideale (l'idea in sé di uomo) si dà l'esistenza, appunto di un terzo uomo, e così all'infinito.

12) Poeta lirico del sesto secolo a.C. Per la citazione, cfr. Ibico, fr. 6,5-7 Page.

 

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